
di Alessandro D’avenia
Non dobbiamo correre il rischio di confondere il talento con la professione. Quando incontriamo una persona per la prima volta, gli chiediamo: che fai?
È vero, il fare – oggi più che mai purtroppo – definisce l’essere come sua lampante (e non esaustiva) manifestazione, ma se avessi posto questa domanda ad un mio caro amico qualche anno fa mi avrebbe risposto: l’impiegato in banca. Dopo cinque anni di studi di economia era felicemente sistemato. Ma soffriva come un cane, il suo talento era altrove, non nella sicurezza economica.
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